Opera ultima della celebre autrice belga, Gli aerostati si svolge nella sua terra amata. Non a caso vi appare una descrizione che ne rende appieno la bellezza. “Bruxelles è una bella città. Ma stranamente si nota solo con il bel tempo. – Perché? – Perché quasi tutte le case sono esposte da due lati, per cui nelle giornate limpide la luce le attraversa. E allora Bruxelles sembra fatta di raggi di sole” (Pag. 73).
Il romanzo, tuttavia, è a lunghi tratti asfittico, poiché le vicende della giovane protagonista ruotano intorno ad una dimora di lusso, quasi a sottolineare la gabbia che si troverà a condividere con il sedicenne Pie Roussaire.
Ange, questo il nome della fanciulla, ha soli 19 anni, ma ne avverte il peso, come se la giovinezza dell’anima fosse già superata. “Durante la crescita non avevo vissuto drammi particolari. La mia tragedia non era altro che l’esperienza comune: intorno ai tredici anni, in un attimo, era successo. Tutt’a un tratto nella mia testa si era rotto l’incantesimo. Ricordo di aver cercato di restaurare la magia e di averci rinunciato dopo qualche minuto” (Pag. 57). Grande amante della filologia, vive in un piccolo appartamento con Donate, dal disturbo ossessivo-compulsivo per l’ordine e la pulizia (a me è apparsa come il folle marito di Julia Roberts in “A letto con il nemico”. Ricordate la scena dei barattoli in fila, tutti alla stessa distanza? Ecco, il personaggio è questo!).
Non ha amici e ne avverte la mancanza. Il suo atteggiamento è lungi dall’essere timido o di chiusura verso il prossimo. Tenta di aprire una breccia tra i suoi compagni di università, ma senza successo. Un giorno risponde ad un annuncio e inizia a dare ripetizioni a Pie, con l’obiettivo di sconfiggerne la dislessia e trasmettergli la passione per la letteratura. Si comprende dalle prime righe che nella casa si respira un’aria tossica. I rapporti tra e con i genitori sono inficiati dalla mancanza di stima e dalla incapacità di un legame empatico.
“A lei ho bisogno di dirlo: mia madre è un’idiota. Vede, mio padre non è stupido, anche se io lo disprezzo e non siamo capaci di parlare senza alzare la voce. Mia madre non è cattiva, ma cosa potrei dire a una donna così cretina? Avevo otto anni quando ho capito che era una mentecatta. Ne avevo dodici quando mi sono reso conto che mio padre era un verme” (Pag. 52).
Tra i due ragazzi si instaura, da subito, un confronto dialettico serrato, mai banale, in pieno stile Nothomb. È un rapporto che cresce, dai contorni sempre più incerti. Chi è l’insegnante e chi l’allievo?
Con il consueto ritmo incalzante, tra impreviste entrate in scena e discese negli inferi della psiche, si arriva al gran finale. Un coup de théâtre? Direi di no, ma è coerente con il fluire degli eventi. Immagino, quindi, che tanti lettori, come me, ne intuiranno l’esito già a metà dell’opera. Questo non toglie nulla al libro. Stile tranchant, a tratti disturbante, sprezzante ironia. Riflessioni sulla giovinezza, sull’amore per i libri, sui rapporti talvolta angusti con i genitori. Tanta sostanza condensata in sole 114 pagine. Lo divorerete in poche ore!
Pillola di acidità: era necessario inserire un commento poco carino nei confronti della già bistrattata Napoli? (Pag. 3) O forse solo in questa città si stendono disordinatamente gli indumenti ai balconi?!
In pieno stile Nothomb
“A tratti, in effetti, si riconoscono i trucchi usati per catturare l’attenzione degli ascoltatori. Per esempio il ritmo delle sequenze. Ogni avventura dura un certo numero di versi, il tempo giusto per portare l’azione al culmine. Dopodiché la tensione cala. Il pubblico può andare al cesso”. (Pag. 40)
Note sull’autrice
Autrice prolifica e pluripremiata, nasce nel piccolo comune belga di Etterbeek nel 1966. La carriera diplomatica del padre le offre la possibilità di vivere in diversi paesi. Trascorre la sua infanzia in Giappone, per poi trasferirsi in Cina. L’abbandono del Sol Levante fu molto traumatico, così come emerge da uno dei suoi libri di maggior successo “Stupore e Tremori” (“Quitter le Japon fut pour moi un arrachement) . Soggiornò successivamente a New York dove si appassionò alla danza classica, che praticò per un breve periodo. Durante l’adolescenza visse in Bangladesh. Furono anni molto difficili, caratterizzati da gravi disturbi alimentari che la condussero all’anoressia. Come dichiara lei stessa, tra i 15 ed i 17 anni smise di mangiare, per nutrirsi quasi esclusivamente di libri.
A 17 anni arriva in Belgio e si stabilisce a Bruxelles con la famiglia. Nella capitale diceva di sentirsi “aussi étrange qu’étrangère” (tanto straniata quanto straniera). Si laurea in Filologia, senza riuscire ad integrarsi con i compagni di facoltà. Successivamente torna in Giappone dove affronta una traumatica esperienza lavorativa. Assunta, infatti, come traduttrice, si trova a fare la guardiana dei servizi igienici. Nel 1992 rientra in Belgio e pubblica Igiene dell’assassino, all’origine del suo enorme successo letterario. Attualmente vive tra Parigi e Bruxelles.
In gran parte autobiografici, i suoi romanzi hanno ricevuto diversi riconoscimenti in Europa. Scrive quattro ore al giorno e pubblica un libro all’anno. In Italia collabora da sempre con la casa editrice Voland.