Essere parte di un club di lettori offre innumerevoli vantaggi. Uno di questi è sicuramente rappresentato dalla possibilità di confrontarsi con gli altri su letture intense come queste.
Non sempre le proposte letterarie soddisfano i gusti di tutti, come è giusto che sia. In questo caso, non poteva che essere diverso. Génie la matta è un libro di una carica emotiva eccezionale. Righe che straziano, violente, drammatiche. Confesso di aver lasciato qualche lacrima sulle pagine. Una sorpresa notevole, un’autrice che ci ha ormai lasciato. Questa opera è del 1976, un secolo fa. Eppure è di grande modernità, con lo stile essenziale ed asciutto che la contraddistingue.
La storia è quella di Génie e di sua figlia Marie, un rapporto contraddistinto da poche, pochissime parole e l’assenza pressoché totale di una affettività confortante. Génie appartiene ad una famiglia in vista di un piccolo borgo rurale francese. Ha solo 17 anni quando subisce violenza da un muratore della zona e sua madre, frutto di una sottocultura rozza e maschilista, le chiede il nome dell’uomo affinché possa sposarlo. La giovane rifiuta e per questo sarà destinata ad una vita da reclusa, lontana da tutti, perché ritenuta una svergognata.
Porterà avanti la gravidanza, pur con tutte le paure e l’angoscia di una ragazzina che non conosce il mondo e la vita. La bambina cresce nel silenzio, cercando per anni una carezza o un abbraccio. Pur in una relazione taciuta, l’amore verso questa mamma “matta” (come viene definita dai suoi compaesani) sarà folle, totalizzante. Sono loro due a combattere contro l’ignoranza, lo sfruttamento, la cattiveria umana che è presente nei familiari e assume il volto arcigno e terrificante della nonna.
La vita quotidiana è scandita dal duro lavoro nei campi, dai servizi presso i notabili del posto. Una faticosa ripetitività resa alla perfezione dalla scrittura della Cagnati che potrebbe, per tale ragione, apparire a tratti monotona. Ma è proprio questo il senso dell’esistenza delle protagoniste: giornate lunghe e identiche, tra raccolta del grano, uccisione di maiali e minuscoli momenti di tranquillità tra le mura domestiche. La felicità è una parola sconosciuta, una realtà lontana. Eppure la piccola Marie trova il modo di catturare degli attimi di affetto, con il suo vitello cieco e l’anatroccolo BenoÎt. Con loro esiste un dialogo speciale, uno scambio affettivo fatto di gesti e suoni.
La angosciante percezione di isolamento, fisico e spirituale, è la firma dell’autrice. Non vi aspettate di prendere fiato, perché la sensazione di claustrofobia e di disagio è presente dalla prima pagina e accompagna il lettore fino alla fine. Sono pochi i momenti di benessere, accompagnati, però, dalla perenne, insana percezione del male che arriverà.
Non è un libro per chi desidera trovare speranza. Con coerenza, si giunge ad un epilogo che non poteva essere diverso. Un’opera dalle tinte oscure, ma carica di pathos e devastante nel suo carico di dolore.
Citazione preferita
“Quando le zie, gli zii, i cugini e le cugine se ne andavano con i loro cestini e le loro sedie pieghevoli, correvo verso casa e verso di lei, con il cuore gonfio di tristezza e di gioia. Mi fermavo vicinissima a lei. Lei lavorava, sempre uguale, e vedendola pensavo che niente era venuto a turbare l’acqua che scorreva piano, né la voce dei salici nel vento” (pag. 123).
Note Biografiche
Inès Cagnati nacque il 21 febbraio del 1937 a Monclar-d’Agénais, Lot-et-Garonne. Era figlia di braccianti agricoli italiani, padre trevigiano e madre vicentina, trasferitisi in Francia alla ricerca di una vita migliore. Come descrive nel suo primo romanzo Le jour de congé del 1973, i genitori trovarono, al loro arrivo, terreni agricoli paludosi e rocciosi che erano perlopiù stati abbandonati dai francesi caduti durante la Grande Guerra. Fino alla scuola elementare si esprimeva solo in italiano, sebbene fosse stata naturalizzata francese dopo la nascita. Non si sentirà mai né francese, né italiana. Più volte dichiarò di vedersi come una straniera e la sua fu una percezione perenne.
La scarsa conoscenza linguistica e le condizioni di povertà estrema la costrinsero ad un forte isolamento sociale, acuito dalla ostilità dei compagni di scuola. Ebbe una infanzia infelice, le cui tracce ritroviamo nel suo grande successo Génie la matta, pubblicato nel 1976. L’opera ricevette il Prix des deus Magots.
SI laurea in letteratura ed insegnerà nel prestigioso liceo parigino Camot. Non abbiamo molte notizie sulla sua vita privata. È stata sposata, per un breve periodo, con un ingegnere e visse con lui a Brasilia. Ebbe un solo figlio, a cui dedicò gran parte della sua esistenza. È morta il 9 ottobre 2007.