Sarò troppo severa o considerata una che ne capisce poco, ma a me questo libro non ha entusiasmato in particolar modo. Immagino che tra qualche anno ne sarà rimasto poco nella mia memoria. Ho letto recensioni mirabolanti, forse per ossequio ad un autore versatile e pluripremiato (è stato insignito, tra l’altro, del Premio Strega nel 2017 con Le Otto Montagne), ma io nutro delle perplessità. L’ho acquistato perché affascinata dalla trama e curiosa di indagare le irrequietudini dei personaggi. Fausto è reduce dalla fine di una lunga relazione ed è alla ricerca del suo posto nel mondo. Dopo una vita trascorsa nella anonima periferia di Milano, decide di tornare tra i sentieri che percorreva da bambino. Si trasferisce nel piccolo borgo di Fontana Fredda, in Valle D’Aosta, e da un incontro con la milanese Babette, inizia il lavoro di cuoco nel suo rifugio. Silvia è giovane e curiosa, anche lei viene dalla città e rincorre il suo desiderio di libertà e scoperta delle montagne. Sono tutti colti dal bisogno di individuare la loro dimensione, fisica e spirituale. Il senso di smarrimento è un doveroso passaggio verso una felicità agognata ma di cui non si percepiscono i contorni. Ognuno è preso dai suoi interrogativi eppure tutti cercano una risposta lì, in alta quota, attraverso un isolamento che è solo apparente.
Nelle prime pagine sono stata presa da attacchi di infantile entusiasmo. I riferimenti a Karen Blixen e Il pranzo di Babette (pag. 4) mi hanno creato delle incredibili aspettative. Ho pensato che la convergenza (mia personale deduzione) dei gusti letterari tra me e Paolo Cognetti, fosse un ottimo presagio.
In realtà, ad un certo punto mi sono sentita persa anche io come i protagonisti del romanzo. Ho vissuto degli alti e bassi nella lettura, intervallati da momenti di noia. Ci sono dei passaggi troppo lenti, quasi a riflettere l’andamento della esistenza tra boschi e cime innevate. La natura, con tutta la sua dirompente bellezza, e il contrastato rapporto con l’uomo offrono, tuttavia, una immagine di impareggiabile e vibrante realismo. Allo stesso modo, il paesaggio, insieme alla calma e pacata quotidianità del paese infondono un senso di calore e familiarità. Eppure, aldilà di questi meriti indiscussi, l’opera è come incompiuta. La liaison tra Fausto e Silvia si perde tra le pagine ed è priva di quel pathos e quella passione che creano vibrazioni. Direi pallida, senza colore, né sfumature. Anche i dialoghi, alquanto scarni, avrebbero meritato attenzione maggiore, ma sono espressione, del resto, di uno stile asciutto ed essenziale (troppo?!).
Una menzione speciale va a Babette, donna intelligente dalla raggiunta consapevolezza. La sua lettera è uno dei passaggi più coinvolgenti della narrazione. “Caro Fausto, no, per adesso non torno… Provo quel senso di respiro che ti può dare un paesaggio nuovo, e che da tanto tempo non trovavo. Il paesaggio a cui sei abituata ti dà un senso diverso, di familiarità, o di oppressione a volte, ma poi in realtà non lo vedi neanche più, se non quando torni dopo essere stata lontana oppure negli occhi di un nuovo arrivato. Allora provi un po’ di tristezza ripensando ai tempi in cui eri nuova anche tu, e nuovi gli occhi con cui guardavi. Con il tempo tutto diventa normale, le parti belle e le parti brutte, il cattivo gusto degli umani smette di darti così fastidio e l’eleganza della terra ti fa soltanto compagnia. Eppure penso anche che solo chi si abitua vede davvero, perché ha sgomberato il suo sguardo da ogni sentimento. I sentimenti sono occhiali colorati, ingannano la vista” (Pag. 98)
Curiosità
Il romanzo è in parte autobiografico. Sia Fausto che Paolo Cognetti sono milanesi di origine, grandi amanti dell’alta quota. Entrambi si trasferiscono in Valle D’Aosta dopo avervi trascorso lunghe vacanze estive da bambini. Per un periodo lavorano in un ristorante dal nome “Il pranzo di Babette” (che, pertanto, è un luogo reale). Sono scrittori in cerca di una svolta.
Note biografiche
Nato a Milano nel 1978, si diploma nel 1999 nella Civica Scuola di Cinema. Oltre ad essere un autore prolifico ed avere alle spalle numerose pubblicazioni di raccolte di racconti, romanzi ed antologie, ha realizzato diversi documentari a carattere sociale, politico e letterario. Il suo esordio nella scrittura è nel 2003 con il racconto “Fare ordine”, vincitore del Premio Subway Letteratura.
Ha soggiornato per lunghi periodi a New York, tra il 2004 e il 2016. In questi anni ha pubblicato due guide personali della Grande Mela, realizzato una serie di documentari sulla vita newyorkese e curato l’Antologia New York Stories.
Grande amante della montagna, da bambino trascorreva le vacanze estive in Valle D’Aosta, luogo in cui ha scelto di vivere trent’anni dopo. A 1800 metri, a Estoul, ha costruito e gestisce un rifugio culturale.
Nel 2016 è uscito il suo primo romanzo “Le otto montagne”, con cui si è aggiudicato il Premio Strega nel 2017, Il Prix Médicis étranger, l’English Pen Traslates Award, il Premio Itas e il Grand Prize del Bannf Mountain Book Competition. Nel 2018 ha pubblicato “Senza mai arrivare in cima”, racconto della sua esperienza sulle cime dell’Himalaya.
È del 2021 il suo ultimo romanzo “La felicità del lupo”.