Qualcuno potrà storcere il naso per la ennesima recensione di un libro di Amélie Nothomb, ma mi ripeterò: la amo. Anche quando non mi infiamma, trovo sempre qualcosa di accattivante nei suoi testi.
Questa opera ha suscitato in me delle perplessità, soprattutto nell’epilogo, tuttavia è in linea con il suo stile e coerente con la narrazione.
La storia è bizzarra: il Conte Neville, ormai in piena decadenza, è costretto a vendere il suo amato Castello di Pluvier, nelle Ardenne Belghe. Per l’infausta occasione organizza un addio alla scena in pompa magna. Un canto del cigno da lasciare ai posteri ad imperitura memoria. L’evento è il Garden Party di ottobre, consueto rendez-vous per nobili e presenti tali, da lui officiato con ineguagliabile maestria.
Il suo entusiasmo viene oscurato da un ermetico presagio. Dopo aver aiutato la figlia minore in cerca di emozioni forti in una foresta oscura, una veggente, la signora Portenduère, gli comunica che nel corso del suo Happening ucciderà un invitato. Che tragedia! Attenzione: non per il dispiacere di togliere la vita a qualcuno, ma per l’onta di colpire un invitato, una sorta di Sacro Graal da coccolare e custodire nei secoli.
“L’invitato era colui che si desiderava e si attendeva a casa propria da sempre, il cui arrivo era preparato con attenzione estrema: bisognava architettare le occasioni per piacergli ed evitare quanto avrebbe potuto rivelarsi per lui fonte del più lieve disappunto. Per questa ragione era necessario conoscerlo, prendere informazioni su di lui, senza andare troppo a fondo nell’indagine, per non mostrare una curiosità fuori luogo” (Pag. 25).
Nella ricerca spasmodica di una vittima sacrificale, si lambicca per giungere ad una soluzione “bon ton”.
Il confronto con Évrard Schweringen, esperto di storia dell’aristocrazia belga dal 1830, è un masterpiece della perforante ironia della Nothomb. “Uccidere un invitato in un momento di collera è un gesto di una certa classe, è chic. L’assassinio premeditato di un invitato è la dimostrazione, incredibilmente volgare, che non si conosce l’arte di ricevere” (Pag. 48).
La sottile perfidia è una costante dell’autrice, che qui si riverbera magistralmente nei dialoghi dissacranti tra il Conte di Neville e sua figlia Sérieuse, ma anche nella sprezzante rappresentazione di un mondo dove puoi essere povero in canna, ma l’importante è che agli occhi altrui tu possa permetterti il meglio:
-Beviamo al successo di questo garden party- dichiarò.
Bevvero.
– Ma è un Laurent-Perrier Cuvée Grand Siècle! – esclamò Alexandra.
– E una follia, mio caro… Credevo che fossimo poveri.
– Esattamente.
– Capisco (Pag 87)
Ancora una volta l’autrice colpisce con l’originalità delle sue trame e l’incredibile capacità di prendere in giro i nostri tempi, dove tutto si sacrifica, in nome di un’apparenza da salvare ad ogni costo. Intensa e del tutto peculiare la espressione delle emozioni, spesso celate da una coltre di sarcasmo e brillante sense of humour.
Curiosità
Più volte, nel romanzo, appare la parola “sentiti”, utilizzata come sostantivo e non aggettivo (come da consuetudine). Un uso bislacco, ma davvero esilarante.
“Hai dei sentiti?” è una domanda che prenderò in prestito!