Qualcuno potrebbe obiettare sulla scelta e dire che sono “vecchia”, perché Colazione da Tiffany è un libro del 1958 del celebre scrittore americano Truman Capote e la trasposizione cinematografica di Blake Edwards è di poco successiva (1961).
Beh, confesso di avere un’anima un po’ agée. Sono nostalgica e penso sempre di essere nata nell’epoca sbagliata. Di sicuro sarebbe stato molto più interessante vivere tra gli anni 50’ e 60’. Però, accidenti, questo titolo è un capolavoro!
Io lo adoro e l’ho scelto per una serie di motivi.
Stiamo parlando di un film cult, con una protagonista straordinaria ed una colonna sonora, “Moon River”, che per me già sarebbe sufficiente ad inserire la pellicola tra i capolavori del cinema mondiale.
È una storia d’amore, priva di sdolcinatezze ed estremamente originale per quel periodo. Una liaison tra una giovane prostituta d’alto bordo ed uno scrittore squattrinato che suscitò scandalo in quegli anni. Basti pensare che l’agente di Marylin Monroe, Lee Strasberg, le suggerì di rifiutare la proposta perché recitare la parte di una escort le avrebbe rovinato la carriera. Clamoroso errore! Direi meglio per gli spettatori, però.
Audrey Hepburn è perfetta nel ruolo di Holly Golightly, ne incarna a pieno le caratteristiche delineate da Truman Capote nella sua opera: una donna-bambina, sfrontata ma intimamente naÏve, sognatrice ma pragmatica e risoluta allo stesso tempo. Se non ha vinto l’Oscar nel 1962 è solo perché fu battuta dalla nostra Sofia Loren per la sua interpretazione magistrale ne “La Ciociara”.
“Io non voglio essere padrona di niente finché non saprò di averlo trovato, il posto dove io e le cose siamo legate tra noi. Non so ancora bene dove sia questo posto. Ma so com’è”. Così nel libro, per parlare del suo rapporto con Gatto, il micio senza nome raccolto per strada, indipendente e sornione, come lei.
Personaggio dalle mille sfumature, così intenso e drammatico da oscurare il resto del cast ed in particolare il suo partner in scena, George Peppard, che pur ha legato il suo nome al freddo ed impalpabile Paul Varjak.
A chi mi chiede cosa preferisco tra romanzo e film, rispondo convintamente che ho amato Truman Capote, ma Audrey Hepburn di più.
Lo stile del primo è elegante, essenziale e con punte di incredibile umorismo. Un cavallo di razza, capace di passare da un registro all’altro, di far commuovere e sorprendere il lettore. Colazione da Tiffany è un testo breve, ma così ricco e carico di amarezza ed anticonformismo, da meritare il successo planetario ottenuto. La resa cinematografica è notevole, ma ci sono diverse discrepanze rispetto alle scelte dello scrittore. Quest’ultimo avrebbe desiderato che la punta di diamante fosse Marilyn Monroe perché a suo avviso avrebbe rappresentato meglio l’immagine di una ragazza ingenua ma mentalmente e sessualmente libera. La produzione ha scelto, invece, un volto dal candore maggiore, con una allure iconica. Al contrario, Paul Varjak, aspirante romanziere, è stato reso da George Peppard in maniera più controversa e meno lineare.
La relazione tra i protagonisti è ciò che verrebbe definita oggi un’amicizia affettuosa, un contorno alla storia della indomita ragazza di provincia giunta a New York per acciuffare i suoi sogni. Chiaro che nel film, per esigenze di botteghino, si è cercato di dare maggiore risalto a questo rapporto, rendendolo più vivo e carnale.
Il finale è bianco e nero. Bianco per Edwards, nero per Capote. E non poteva che essere così. Il primo ha assecondato gli spettatori, il secondo è rimasto coerente con se stesso e con la narrazione.
Ma la differenza è tutta in un nome: Audrey Hepburn.
Colazione da Tiffany è Audrey Hepburn, è il suo sorriso smaliziato mentre abbassa gli occhiali da sole scuri, è il tubino nero con la collana di perle, è la sua maschera per dormire, è il suo fischio da ragazzaccia per richiamare il taxi, è il suo abbraccio a Gatto, è la sua malinconica voce che sussurra:
“Moon river, wider than a mile.
I’m crossing you in style some day
Oh, dream maker, you herat breaker
Wherever you’re going. I’m going your way.
Two drifters, off to see the world
There’s a such a lot of world to see
We’re after the same rainbow’s end, waiting, round the bend
My Huckleberry Friend, Moon River, and me”
Frasi Cult
Dall’opera di Truman Capote
“Ma non puoi dare il tuo cuore a una creatura selvatica: più lo fai, più forti diventano. Fino a quando sono diventate tanto forti da scappare nei boschi. O da volare su un albero. Poi su un albero più alto. Poi in cielo. Ecco, come finirà, signor Bell. Se si permetterà di amare una creatura selvatica, finirà per guardare il cielo”.
Dal film “Colazione da Tiffany”
“Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome!”